si chiama Henry Beckett ed era un lunedì mattina, si era appena alzato, guardò fuori dalla finestra, vide una donna con una minigonna cortissima, e pensò, mi ci sto quasi facendo il callo, peccato. eppure una donna deve avere qualcosa addosso altrimenti non c'è niente da toglierle. la carne cruda è solo carne cruda.
era già in mutande e entrò in bagno per farsi la barba. quando si guardò allo specchio vide che il volto era color oro con puntolini verdi. guardò ancora, col pennello in mano, poi il pennello cadde sul pavimento. la faccia era fissa nello specchio: color oro con macchioline verdi. i muri cominciarono a vibrare. Henry si aggrappò al lavandino. poi, in qualche modo, tornò in camera, si buttò sul letto a pancia in giù. ci rimase per cinque minuti, col cervello che pencolava, pulsava, indagava, vomitava. poi si alzò, andò in bagno e si guardò nuovamente allo specchio: faccia color oro con macchioline verdi. faccia color oro luccicante con macchioline verdi luccicanti.
andò al telefono. «si, salve. sono Henry Beckett. non posso venire a lavorare oggi. sto male. cosa? oh, ho un gran mal di stomaco, un gran mal di stomaco.»
riattaccò.
tornò un'altra volta in bagno. inutile, la faccia era ancora lì. riempì la vasca d'acqua, poi tornò al telefono. l'infermiera voleva fissargli un appuntamento per il mercoledì della settimana successiva.
«senta, questo è un caso grave! ho bisogno di vedere il dottore oggi! è questione di vita o di morte! non posso spiegarle, no, non posso spiegarle, ma la scongiuro, mi trovi un buco per oggi! deve farlo assolutamente!»
gli fissò un appuntamento per le 3,30.
si tolse le mutande e entrò nella vasca. notò che anche il corpo era color oro con macchioline verdi. dappertutto. coprivano il ventre, la schiena, i testicoli, il pene. col sapone non vennero via. uscì dal bagno, si asciugò, rimise le mutande.
squillò il telefono. era Gloria. la sua ragazza. anche lei lavorava nel suo stesso ufficio.
«Gloria, non posso dirti cosa non va. è una cosa tremenda. no, non ho la sifilide. peggio ancora. non posso dirtelo. non mi crederesti.»
lei disse che sarebbe andata a trovarlo nell'intervallo di colazione.
«ti scongiuro, non farlo, baby, altrimenti m'ammazzo.»
«allora vengo subito da te!» disse lei.
«ti prego, TI PREGO, non farlo... »
aveva già riattaccato. guardò il telefono, riattaccò, torno in bagno. nessuna novità. ritornò in camera, si allungò sul letto, guardò le crepe sul soffitto. era la prima volta che notava le crepe sul soffitto. sembravano calde, belle, amichevoli. sentiva il traffico, il cinguettio degli uccelli, di tanto in tanto, le voci per strada - una donna che diceva a un bambino, «insomma, cammina, cammina più in fretta, per favore» e, ogni tanto, il rumore di un aeroplano ad elica.
il campanello suonò. andò alla stanza che dava sulla strada e guardò furtivo tra le tendine. era Gloria in camicetta bianca e gonna estiva azzurro pallido. sembrava più bella che mai. una bionda tiziano che scoppiava di vita; il naso un pò troppo brutto, un pò troppo grosso, ma una volta che ci avevi fatto l'abitudine, finivi per amare anche quello. sentiva il cuore che ticchettava come una bomba a orologeria in uno sgabuzzino vuoto. era come se qualcuno gli avesse scodellato via le budella e che solo il cuore si trovasse al solito posto, a gemer vuoto.
«non posso farti entrare, Gloria!»
«apri la porta, brutto stronzo!»
notò che lei cercava di sbirciare attraverso le tendine.
«Gloria, non vuoi capire che...»
«ti ho detto, 'APRI LA PORTA!'»
«d'accordo, » disse lui, «d'accordo, maledizione!»
il sudore gli circolava per la testa, sgocciolava sulle orecchie e colava lungo la schiena.
spalancò la porta.
«GESU'!» disse lei con voce strozzata, portandosi la mano alla bocca.
«te l'AVEVO DETTO, avevo cercato di DIRTELO, te l'AVEVO DETTO!»
indietreggiò. lei chiuse la porta e lo seguì.
«che cos'è?»
«e che ne so. cristo, non lo so. non toccarmi, non toccar niente. potrebbe essere contagioso.»
«povero Henry, povero amore mio...»
continuava ad avvicinarglisi. lui andò a inciampare in un cestino della carta straccia.
«maledizione, ti ho detto di star lontana!»
«ma perchè, sei quasi bello!»
«QUASI!» gridò lui, «MA NON POSSO MICA ANDARE A LAVORARE COSI' CONCIATO.»
a quel punto scoppiarono tutti e due a ridere. poi lui si ritrovò sul divano a piangere, teneva la faccia verde e oro tra le mani e piangeva.
«mio dio, ma perchè non può essere un cancro, un infarto, qualcosa di bello e pulito? Dio mi ha cagato addosso, ecco qui, Dio mi ha cagato addosso!»
lei lo baciava sul collo e attravaerso le mani che coprivano il viso. lui la scostò. «smettila, smettila!»
«ti amo, Henry, non me ne importa niente di questa roba.»
«voi dannate donne siete tutte pazze.»
«sicuro. adesso dimmi quando andrai a farti visitare!»
«alle 3,30»
«adesso devo tornare in ufficio. telefonami appena saprai qualcosa. passerò da te stasera.»
«o.k., o.k.,» poi se ne andò.
alle 3,10 s'era calato un cappello sugli occhi e aveva messo un foulard intorno alla gola. portava un paio d'occhiali scuri. andò dal dottore in macchina guardando dritto davanti a sè, cercando di rendersi invisibile. nessuno sembrava notarlo.
nell'ambulatorio del dottore tutti leggevano, LIFE, LOOK, NEWSWEEK, ecc. poltrone e divani bastavano appena e faceva un gran caldo. giri di pagine. lui si mise a fissare la sua rivista per non farsi notare. funzionò tutto perfettamente per un quarto d'ora o giù di lì ma poi una bambina che correva in giro per la stanza facendo rimbalzare una palla, la fece rimbalzare vicino a lui, andò a rimbalzare su una scarpa di lui e quando rimbalzò sulla sua scarpa la bambina la prese e lo guardò. poi tornò da una donna molto brutta con delle orecchie a ciambellina e occhi come intestini di anime di ragni e le disse: «Mammina, cos'ha quell'uomo in FACCIA?»
e la Mammina fece, ssssshhhh!
«MA E' TUTTA GIALLA CON DELLE GRAN MACCHIE VIOLA!»
«Mary ann, ti ho DETTO di star FERMA! mettiti subito a SEDERE vicina a me e non correre più in giro! ti ho detto di star SEDUTA QUI!»
«ah, mammina!»
la bambina si mise a sedere, tirava su col naso, guardava la faccia di lui, tirava su col naso e guardava la faccia di lui.
arrivò il turno della bambina e della mamma. arrivò il turno di altra gente, altra gente entrò, uscì. finalmente il dottore lo chiamò.
«signor Beckett.»
seguì il dottore nell'ambulatorio. «come sta, signor Beckett?»
«mi guardi e capirà da solo.»
il dottore si girò, «buon Dio!» disse.
«proprio così,» disse il signor Beckett.
«non mi è mai capitato di vedere niente del genere! la prego, si spogli e si sieda sul lettino. quando se ne è accorto?»
«stamane, quando mi sono alzato.»
«come si sente?»
«come se fossi imbrattato di una merda che non verrà mai via.»
«voglio dire, fisicamente.»
«mi sono sentito bene finchè non mi sono guardato allo specchio.»
il dottore gli legò lo stetoscopio al braccio.
«pressione sanguigna normale.»
«diamo un taglio a queste stronzate, dottore, adesso mi chiederà di salire sulla bilancia. lei non sa cos'è, giusto?»
«no, non ho mai visto niente di simile.»
«la sua grammatica zoppica un pò, di dov'è, dottre?»
«austriaco.»
«austriaco. e adesso cosa vuol fare?»
«non so. forse un dermatologo, ospedalizzazione, analisi.»
«sono sicuro che troveranno molto interessante il mio caso. ma non andrà via.»
«cos'è che non andrà via?»
«quel che ho. lo sento. non andrà via, mai.»
il dottore cominciò ad auscultarlo. Beckett respinse lo stetoscopio. cominciò a rivestirsi.
«non abbia fretta, signor Beckett, la prego!»
poi finì di rivestirsi e uscì. abbandonò lì cappello, foulard e occhiali scuri. tornò a casa, prese il fucile da caccia e abbastanza cartucce da ammazzare un battaglione. trovò il sentiero che dall'autostrada portava alla collinetta. la collinetta dominava una curva stretta che obbligava le macchine a rallentare. come avesse fatto a notare questa collinetta non riusciva a spiegarselo. ripulì il mirino telescopico, caricò, tolse la sicura e premette il grilletto.
da principio non mirava bene. ogni volta che sparava la pallottola finiva dietro la macchina presa di mira. poi s'esercitò a portare le macchine verso la pallottola. la velocità delle macchine era quasi la stessa, ma istintivamente cambiava mira a seconda della diversa velocità d'ogni macchina. il primo lo colpì in modo assai strano. la pallottola entrò sul lato destro della fronte e l'uomo sembrò guardare subito dalla sua parte. poi la macchina avanzò a scatti, cozzò contro il guard-rail, si piegò su un fianco e lui sparò alla macchina che sopraggiungeva, guidava una donna, la mancò, colpì il motore che prese fuoco e lei era bloccata in macchina a gridare, ad agitar le braccia e a bruciare. non voleva vederla morire tra le fiamme. le sparò. il traffico si bloccò. la gente scese dalle macchine. decise di non sparar più alle donne. cattivo gusto. o ai bambini. cattivo gusto. un medico austriaco. ma perchè non era rimasto in Austria? colpì altri quattro o cinque uomini prima che la gente capisse che si trattava di una sparatoria. poi arrivarono le macchine della stradale e le ambulanze. bloccarono l'autostrada. lasciò che caricassero i morti e i feriti sulle ambulanze. non sparò sui lettighieri. sparò sui poliziotti. uno alto e grosso. smarrì il senso del tempo. imbruniva. sentì che stavano arrampicandosi su per la collinetta. non rimase fermo dove si trovava. mosse verso di loro. ne sorprese due in un'imboscata sul fianco sinistro. poi una salva che veniva dalla sua destra lo sospinse verso la cima. lo stavano ricacciando indietro. niente di peggio di una postazione fissa. tentò di sganciarsi un'altra volta ma il fuoco era troppo intenso. indietreggiò lentamente verso la cima della collinetta, più lentamente che poteva. li sentiva parlare e bestemmiare. erano in molti, smise di sparare e attese. ne colpì un altro, dopo aver visto un paio di pantaloni dietro una siepe, mirò dove pensava si dovesse trovare il busto. sentì un urlo, poi ricominciò ad arrampicarsi su per la collinetta. il buio s'infittiva. Gloria l'avrebbe scaricato. sarebbe stato lui a scaricare Gloria con un fondo tinta come il suo. ma ci pensate com'è sensazionale scortare una ragazza dipinti di color oro e viola ad un concerto di Brahms?
alla fine lo ricacciarono in cima alla collinetta dove non c'erano cespugli per nascondersi. solo dei massi di proporzioni modeste. e tutti volevano tornare a casa vivi. decise che avrebbe potuto resistere per un bel pezzo. cominciarono a sparar razzi verso la cima della collinetta. sparò a molti razzi per spegnerli ma ne mancò qualcuno e ben presto ci furono abbastanza razzi accesi da metterlo fuori combattimento. stavano per cominciare il tiro a bersaglio, s'avvicinavano... merda, merda. beh.
c'era un razzo che brillava lì vicino e Henry riuscì a vedere le mani sul fucile. guardò ancora. erano BIANCHE.
BIANCHE!
Finito!
era BIANCO, BIANCO, BIANCO!
«EHI!» gridò, «M'ARRENDO! NE HO ABBASTANZA! M'ARRENDO!»
Henry si strappò la camicia, si guardò il petto: BIANCO.
si tolse la camicia, la legò sulla canna del fucile, cominciò ad agitarla. cessarono il fuoco, il ridicolo sogno dell'uomo era finito, l'uomo dalle macchie verdi non esisteva più, il clown era sparito; che burla, che stronzata, ma era successo veramente? non era possibile. doveva essere il frutto della sua immaginazione. oppure no? era vera Hiroshima? era mai successo qualcosa?
scagliò il fucile verso di loro, lo scagliò con forza. poi avanzò lentamente, a mani alzate, gridando, «M'ARRENDO! NE HO ABBASTANZA! M'ARRENDO! M'ARRENDO! M'ARRENDO!»
sentiva le loro voci mentre gli si avvicinava.
«e adesso cosa facciamo, amico?»
«non so, occhio ai trucchi.»
«ha ucciso Eddie e Weaver. il suo coraggio mi fa schifo.»
«si sta avvicinando»
«NE HO ABBASTANZA! M'ARRENDO!»
uno dei poliziotti sparò cinque colpi. tre al ventre e due ai polmoni.
lo lasciarono lì per un minuto buono prima che qualcuno si muovesse. poi uscirono allo scoperto. quello che gli aveva sparato si mostrò per primo. ribaltò il cadavere con lo stivale, rovesciandolo. era un poliziotto nero; Adrian Thompson, 110 chili, con la casa nel west side quasi finita di pagare, e fece una smorfia al chiaro di luna.
il traffico sull'autostrada era ricominciato, come al solito.
ho copiato questo scritto di Charles Bukowski perchè mi ha sempre affascinato.
è il primo, ma non sarà l'ultimo.
questo racconto è inserito nel libro taccuino di un vecchio sporcaccione (diary of a dirty old man, 1969).