Nietzsche.
"(...)La profondità di questa tendenza antimorale si può forse misurare nel modo migliore dal silenzio cauto e ostile con cui in tutto il libro è trattato il cristianesimo - il cristianesimo come la più sfrenata trasfigurazione del tema morale che all'umanità sia stato dato fin ora di ascoltare. In verità, rispetto all'interpretazione del mondo e alla giustificazione del mondo puramente estetiche, quali vengono professate in questo libro, non c'è contrasto più grande della dottrina cristiana, che è e vuole essere solo morale, e che con le sue misure assolute, per esempio già con la sua veridicità di Dio, respinge l'arte, ogni arte, nel regno della menzogna - ossia la nega, la danna, la condanna. Dietro una siffatta maniera di pensare e di valutare, che deve essere ostile all'arte finchè è in qualche modo schietta, io sentii sempre anche l'ostilità alla vita, la rabbiosa e vendicativa avversione alla vita stessa: giacchè ogni vita riposa sull'illusione, sull'arte, sull'inganno, sulla prospettiva, sulla necessità della prospettiva e dell'errore. Il cristianesimo fu fin dall'inizio, essenzialmente e fondamentalmente, nausea e sazietà che la vita ha della vita, nausea soltanto travestita, soltanto nascosta, soltanto mascherata con la fede in un' «altra» o «migliore vita». L'odio contro il «mondo», la maledizione delle passioni, la paura della bellezza e della sensualità, un al di là inventato per meglio calunniare l'al di qua, in fondo un'aspirazione al nulla, alla fine, al riposo, fino al «sabato dei sabati» - tutto ciò, come pure l'assoluta volontà del cristianesimo di far valere soltanto valori morali, mi parve sempre la forma più pericolosa e sinistra di tutte le forme possibili di una «volontà di morte», o almeno un segno di profondissima malattia, stanchezza, di malessere, esaurimento, impoverimento di vita; giacchè di fronte alla morale (soprattutto cristiana, cioè alla morale assoluta) la vita deve avere costantemente e inevitabilmente torto, dato che la vita è qualcosa di essenzialmente immorale - e la vita deve infine, schiacciata sotto il peso del disprezzo e dell'eterno «no», essere sentita come indegna di essere desiderata, come priva di valore in sè. La morale stessa, - ebbene, la morale non sarebbe una «volontà di negazione della vita», un segreto istinto di distruzione, un principio di decadenza, di discredito, di calunnia, un inizio della fine? E, conseguentemente il pericolo dei pericoli? ... contro la morale si volse dunque, allora, con questo libro problematico, il mio istinto, come un istinto che parla in favore della vita, e inventò una sistematica controdottrina e controvalutazione della vita, una valutazione puramente artistica, una valutazione anticristiana. Come chiamarla? Da filologo e da uomo delle parole la battezzai, non senza una certa libertà - giacchè chi saprebbe l'esatto nome dell'anticristo? - con il nome di un dio greco: la chiamai la valutazione dionisiaca."





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